Un fiume piccolo piccolo. Così piccolo da essere chiamato Fluminéddu, `piccolo fiume’. Ma che è riuscito a scavare, dalla sua nascita senza data ad oggi e per una profondità di oltre 200 metri in perfetta verticale, la montagna che gli sbarrava il passo.
Qualche guida turistica indica Su Gorroppu come una valle profonda in fondo alla quale scorre un fiume. Non è una definizione esatta: Su Gorroppu è una stretta gola (e allo stesso tempo, una serie di strette gole che portano quel nome) che s’incontra seguendo per un buon tratto il rio Flumineddu nella vasta vallata di Oddoène. Una vallata fuori dal comune, boscosa, che però non sarebbe esatto definire selvaggia, animata com’è da ovili di pastori, da greggi in transito, da branchi di maiali che denunciano a colpo d’occhio strette parentele con i cinghiali, da strani nuraghi in pietra bianca con nomi forse appartenuti alla prima civiltà protosarda (Su Gorroppu, molto vicino ai bordi del canyon, Piandonanìgoli più a monte, Merèu) che offrono da lontano come un richiamo visivo in tutto quel mare di verde e di rocce.
Suggestiva un'”abitazione”di piccoli tronchi e frasche al sommo di una rigogliosa chioma d’olivastro centenario, ancorata con liane ai tronchi più robusti, che si incontra seguendo una delle piste più frequentate.
In fondo a questa vallata scorre il Flumineddu. È seguendo il suo letto, per sentieri accidentati e folti lecceti, che si arriva alla vera gola del Gorroppu. Pareti di roccia si alzano a perpendicolo alle pareti opposte del canyon per un’altezza che supera i 200 metri. Il fondo è quasi illuminato da una pietraia di bianchi massi calcarei dove qualcuno ha segnato in rosso i passaggi più agevoli. Questa sorta di illuminazione naturale, che poi è semplicemente il riflesso delle pietre biancastre in contrasto con le pareti scure del canyon, dà la strana sensazione che la luce del giorno non cada dall’alto ma emani dal fondo. «Questo passaggio», dice Piero Masia, cui dobbiamo alcune immagini di questo volume, «più che impressionante, come dicono in molti, è fuori da una valutazione prospettica ad occhio nudo: alzare la testa e guardare in alto la fine delle pareti significa perdere ogni punto di riferimento e sentirsi come al centro di un turbine che ti vortica intorno. Quando poi lo sguardo si “abitua” e si prende confidenza con queste rocce a strapiombo, balzano improvvise similitudini con le opere pittoriche del romanticismo tedesco, come ad esempio i soggetti di Friedrich ambientati in gole montane».
Per Costantino Brundu, infaticabile “viaggiatore” delle montagne sarde, Su Gorroppu è una sfida “alla Ulisse”: un invito ad andare oltre. E chi va oltre la gola del Gorroppu si deve aspettare di tutto se vuole portare a termine il suo viaggio. Non dovrà lottare contro mostri spaventosi che gli sbarrano il passo né eludere dolci sortilegi di maghe innamorate. Ma si troverà ad un tratto, dopo una serie di laghetti e di risorgenze del Flumineddu che appare e scompare giocando a rimpiattino con il visitatore del suo regno, di fronte ad un salto verticale di circa venti metri. Alcuni passaggi da arrampicata di terzo grado possono risolvere il problema, ma è roba da specialisti. Meglio scendere con molta attenzione lungo stretti “camminamenti” incisi nella parete a strapiombo. Chi, superato l’ostacolo, vorrà proseguire dovrà attraversare più di un laghetto a nuoto o su un canotto gonfiabile. Molti di questi laghi, abbastanza profondi, possono essere aggirati seguendo altri difficili passaggi sulle pareti, dove sono stati predisposti appigli di presa sicura. Alcuni specchi d’acqua sono scuri; altri, meno profondi, traggono dal fondo e dalla superficie riflessi dai colori inusitati. Viene quasi la voglia di chiamarli colori “endemici”: come le non poche rarità vegetali ed animali che vivono nelle pareti di roccia e nell’acqua dei laghi. Sono forme di vita scomparse altrove che giocano l’ultima carta della sopravvivenza, confinate in regni di difficile accesso.