Un apparato VHF è una radio ricetrasmittente che lavora nella banda di frequenze Very High Frequency, cioè le “frequenze molto alte”. È la stessa fascia usata per molti servizi essenziali: comunicazioni nautiche, aeronautiche, radioamatoriali, reti di servizio, taxi, protezione civile, e in parte anche per le emittenti radio FM. Quando prendi in mano una radio VHF, che sia portatile, fissa in barca o montata su un mezzo, stai usando un dispositivo che fa due cose fondamentali: trasmette la tua voce trasformandola in onde radio e ascolta le onde radio in arrivo trasformandole di nuovo in suono comprensibile.
A differenza dei cellulari o di altre tecnologie digitali, un apparato VHF tradizionale è spesso semplice e diretto. Premi il pulsante del PTT (Push To Talk), parli, la tua voce esce dall’antenna sotto forma di segnale radio. Rilasci il PTT e torni in ascolto. Questo principio di base, apparentemente banale, si regge però su una catena di componenti elettronici che devono lavorare in modo sincronizzato e preciso.
Capire come funziona, almeno a grandi linee, aiuta non solo a usarlo meglio, ma anche a interpretare ciò che succede quando “non si sente niente”, quando la portata sembra ridotta, quando ci sono interferenze o disturbi.
Indice
- 1 La banda VHF e il modo in cui si propagano le onde
- 2 Struttura di base di un apparato VHF
- 3 Modulazione della voce e canali di comunicazione
- 4 Semplice, ma non troppo: simplex e duplex
- 5 Squelch, rumore di fondo e selettività
- 6 Potenza di uscita e portata reale
- 7 L’antenna: parte essenziale del sistema
- 8 Funzioni avanzate: canali digitali, DSC e servizi ausiliari
- 9 Aspetti normativi e buone pratiche di utilizzo
- 10 Conclusioni
La banda VHF e il modo in cui si propagano le onde
La banda VHF, in senso ampio, va da 30 a 300 MHz. All’interno di questo intervallo ogni servizio utilizza porzioni specifiche: il VHF marino ad esempio è intorno ai 156–162 MHz, il VHF aeronautico sta più in alto, altri servizi occupano bande dedicate. Le caratteristiche fisiche di queste frequenze sono diverse da quelle delle onde più basse (HF) o più alte (UHF).
Le onde VHF viaggiano soprattutto a “portata ottica”: significa che seguono in buona parte la linea retta e la loro distanza utile è limitata dalla curvatura terrestre e dagli ostacoli. Per questo motivo la posizione dell’antenna è cruciale: più è in alto, più lontano può arrivare il segnale, perché la linea di vista è più estesa. Su una barca la differenza tra un’antenna sul pulpito di prua e una in testa d’albero può essere di molti chilometri di portata.
La propagazione VHF è meno soggetta a riflessioni ionosferiche come accade in HF. In compenso può beneficiare di riflessioni su montagne, palazzi, superfici d’acqua e, in condizioni particolari, di fenomeni come i duct troposferici che permettono collegamenti insolitamente lunghi. Tuttavia, per l’uso pratico, è utile pensare al VHF come a una comunicazione “a vista”: se c’è un grosso ostacolo o se i due apparati sono troppo bassi rispetto al terreno, la portata si riduce sensibilmente.
Struttura di base di un apparato VHF
Un VHF è allo stesso tempo trasmettitore e ricevitore, da cui la parola “ricetrasmittente”. Al suo interno si possono distinguere alcuni blocchi funzionali principali, anche se integrati in circuiti complessi.
Nel percorso di trasmissione, il segnale parte dal microfono, dove la tua voce viene trasformata in un piccolo segnale elettrico. Questo segnale viene modulato, cioè sovrapposto a una portante radio alla frequenza del canale scelto. Poi viene amplificato fino alla potenza nominale dell’apparato, ad esempio 1, 5, 25 watt, e inviato all’antenna che lo irradia nello spazio sotto forma di onde elettromagnetiche.
Nel percorso di ricezione accade il contrario. L’antenna capta le onde radio, le trasforma in un segnale elettrico piccolissimo che entra nello stadio di ricezione. Qui viene selezionata la frequenza del canale, amplificato il solo segnale utile e demodulato, cioè riportato alla forma audio originale. Infine il segnale audio passa attraverso un amplificatore che lo invia all’altoparlante, trasformandolo in suono udibile.
A questi blocchi si aggiungono i circuiti di controllo: la sezione che gestisce la sintonia dei canali, il controllo del volume, dello squelch, le eventuali funzioni digitali, il display e i tasti. Nei VHF moderni, molta logica è affidata a microcontrollori e circuiti integrati programmabili, ma alla base restano gli stessi princìpi di radiotecnica di qualche decennio fa.
Modulazione della voce e canali di comunicazione
Per poter trasportare la voce su un’onda radio, il VHF utilizza un tipo di modulazione. A seconda del servizio, può essere AM (come in ambito aeronautico) o FM (come in molte reti di servizio e nel VHF marino). La modulazione è il processo con cui si varia un parametro della portante, ad esempio l’ampiezza o la frequenza, seguendo l’andamento del segnale audio.
Nel VHF marino, ad esempio, si usa la modulazione di frequenza stretta (NFM), che consente una buona qualità della voce con una larghezza di banda contenuta e una discreta resistenza al rumore. Questo permette di suddividere la banda disponibile in tanti canali adiacenti, ciascuno con una frequenza centrale definita e uno spazio assegnato per evitare sovrapposizioni.
Quando “cambi canale” su un apparato VHF non stai facendo altro che cambiare la frequenza di lavoro della portante, secondo una tabella preimpostata. Ogni canale corrisponde a una coppia di frequenze (nei sistemi duplex) o a una singola frequenza (nei sistemi simplex). Il microprocessore interno richiama la frequenza associata al numero di canale e regola sia il trasmettitore sia il ricevitore su quel valore.
Semplice, ma non troppo: simplex e duplex
Molte comunicazioni VHF avvengono in simplex, cioè trasmettendo e ricevendo sulla stessa frequenza. È il caso tipico del VHF marino, dove due barche che parlano fra loro lo fanno sul medesimo canale: quando una trasmette, l’altra ascolta, e viceversa. È come usare un walkie-talkie: un solo canale, una sola frequenza, un flusso di parole alternato.
Altri sistemi usano il duplex, cioè una coppia di frequenze, una per la trasmissione e una per la ricezione. Qui entra spesso in gioco un ripetitore, una stazione fissa che ritrasmette ciò che riceve su un’altra frequenza, estendendo il raggio di copertura. L’apparato VHF, in modalità duplex, trasmette su una frequenza e ascolta su un’altra, ma per l’utente l’esperienza è simile: preme il PTT per parlare e rilascia per ascoltare.
Il funzionamento interno del VHF in modalità duplex è leggermente più complesso, perché deve commutare velocemente tra i due percorsi, ma a livello concettuale non cambia: c’è sempre un trasmettitore che lavora su una frequenza e un ricevitore che opera su quella assegnata.
Squelch, rumore di fondo e selettività
Un aspetto che chiunque abbia usato un VHF ha sperimentato è il rumore di fondo quando la radio è aperta su un canale senza trasmissioni. Questo fruscio è il risultato della sensibilità del ricevitore, che amplifica non solo segnali utili ma anche rumori elettrici, disturbi atmosferici e interferenze.
Per non costringere l’utente ad ascoltare un fruscio continuo, gli apparati VHF hanno il controllo di squelch. Lo squelch è un circuito che chiude l’audio quando il segnale in arrivo è sotto una certa soglia, e lo apre solo quando rileva un segnale sufficientemente forte da essere considerato “utile”. Regolando lo squelch più in alto, tagli i segnali deboli e ascolti solo quelli più forti; regolandolo al minimo, senti anche i segnali più lontani, ma insieme a più rumore.
Accanto allo squelch c’è la selettività del ricevitore, cioè la capacità di isolare il canale di interesse dagli altri adiacenti. Filtri a radiofrequenza e circuiti intermedi permettono di “focalizzarsi” su una stretta banda intorno alla frequenza di canale, attenuando il resto. È grazie a questa selettività che puoi avere molti canali vicini senza che si sovrappongano in modo disordinato.
Potenza di uscita e portata reale
Un parametro di cui si parla spesso è la potenza in watt dell’apparato VHF. Aumentare la potenza della trasmissione, in teoria, permette di farsi sentire più lontano. È vero, ma con alcune precisazioni.
In mare, ad esempio, un VHF fisso da 25 watt avrà una portata maggiore rispetto a un portatile da 5 watt, a parità di altezza dell’antenna e condizioni. Tuttavia, la potenza non è l’unico fattore determinante. La qualità dell’antenna, il cavo coassiale, le perdite sul percorso, l’altezza sopra il livello del mare o del terreno, l’assenza di ostacoli, tutti contribuiscono in modo significativo.
In pratica, raddoppiare la potenza non raddoppia la distanza. L’incremento di portata è più limitato di quanto si possa pensare, perché il segnale si attenua con il quadrato della distanza. Per questo motivo i progettisti preferiscono lavorare sull’efficienza complessiva del sistema antenna più che solo sull’aumento di watt, che oltretutto richiedono alimentazioni più robuste e generano più calore.
L’antenna: parte essenziale del sistema
Per un apparato VHF, l’antenna è quasi importante quanto la radio stessa. È l’elemento che deve trasformare l’energia elettrica ad alta frequenza in onde radio efficaci. Un’antenna mal dimensionata, montata male o con un cavo difettoso può vanificare le prestazioni anche della migliore radio.
In VHF si usano di solito antenne a quarto d’onda o a mezz’onda, che sono compromessi tra dimensioni fisiche e efficienza. Nel VHF marino la classica antenna verticale è sintonizzata sulla banda 156–162 MHz, in modo da avere un’impedenza vicina ai 50 ohm e un diagramma di radiazione adatto alla comunicazione orizzontale.
Il concetto di adattamento di impedenza è fondamentale: l’apparato VHF è progettato per lavorare con un carico ben definito. Se l’antenna presenta un’impedenza troppo diversa, parte della potenza viene riflessa indietro verso il trasmettitore anziché irradiata. Questo si traduce in minor portata e, nei casi peggiori, in stress per lo stadio finale di potenza, che può riscaldarsi e danneggiarsi.
Molti apparati moderni integrano circuiti di protezione che riducono automaticamente la potenza se rilevano un disadattamento eccessivo. Tuttavia rimane buona pratica verificare l’installazione dell’antenna, usare cavi di qualità, evitare pieghe strette e connettori ossidati.
Funzioni avanzate: canali digitali, DSC e servizi ausiliari
Nei VHF di nuova generazione, soprattutto in ambito marino, si sono aggiunte funzioni digitali che lavorano insieme alla fonia tradizionale. Il DSC, Digital Selective Calling, è un sistema che permette di inviare segnali digitali di allerta, chiamata selettiva e identificazione, su canali dedicati.
In pratica il VHF integra un modem digitale che, su una frequenza specifica, trasmette pacchetti di dati contenenti l’identificativo della stazione, il tipo di messaggio, le coordinate GPS e altre informazioni. Questo sistema consente, ad esempio, di lanciare un mayday digitale che viene ricevuto automaticamente dalle stazioni costiere e dalle altre unità in zona, anche se in quel momento nessuno è in ascolto fonico sul canale.
Il principio di funzionamento di base resta lo stesso: c’è sempre un trasmettitore e un ricevitore in banda VHF. Si aggiunge però la capacità di modulare non solo audio analogico, ma anche dati digitali, con protocolli di codifica e correzione di errore che rendono i messaggi più robusti.
Altre funzioni avanzate possono includere la scansione di più canali, la doppia o tripla watch, cioè la possibilità di monitorare contemporaneamente il canale di chiamata e quello operativo, interfacce con GPS, interconnessione con altri strumenti di bordo. Tutto questo viene orchestrato da microprocessori interni che gestiscono i vari stadi radio secondo logiche predefinite.
Aspetti normativi e buone pratiche di utilizzo
Un apparato VHF opera in bande regolamentate. Ciò significa che non si può semplicemente accendere e trasmettere ovunque e comunque. Ogni Paese, in conformità con le raccomandazioni internazionali, stabilisce quali frequenze sono destinate a quali servizi, con quali potenze massime, quali distanze e quali licenze sono necessarie per l’uso.
In ambito marino, ad esempio, l’apparato VHF di bordo deve spesso essere omologato, e chi lo usa dovrebbe conoscere almeno le basi del traffico radio: quali canali sono riservati alle chiamate di soccorso, quali a comunicazioni portuali, quali ai contatti nave-nave. Un uso improprio può creare interferenze, disturbare comunicazioni importanti e in alcuni casi portare a sanzioni.
Buona pratica è anche rispettare la forma delle comunicazioni. Trasmissioni brevi, chiare, evitando di “tenere il canale” troppo a lungo, ascoltando prima di parlare per evitare di sovrapporsi ad altri, utilizzando frasi standardizzate nei contesti dove previsto. Tutto questo non è solo galateo, ma aumenta l’efficacia del mezzo di comunicazione e riduce il rischio di incomprensioni.
Conclusioni
In apparenza, usare un VHF è facilissimo: si accende, si seleziona il canale, si regola volume e squelch, si preme per parlare. Ma sotto questa semplicità apparente si muove un insieme di tecniche consolidate: modulazione, amplificazione RF, filtraggio, selettività, gestione dell’antenna, controllo digitale delle frequenze, funzioni di sicurezza.
Capire come funziona un apparato VHF non significa diventare progettisti di radio, ma essere consapevoli dei limiti e dei punti di forza di questo strumento. Sapere che la portata dipende dall’altezza dell’antenna e non solo dai watt, che la ruggine sul connettore può ridurre la qualità della comunicazione, che lo squelch troppo alto può farti perdere messaggi deboli ma importanti, aiuta a usarlo in modo più efficace.
In un mondo dove molte comunicazioni passano per reti complesse e centralizzate, un VHF resta un dispositivo diretto, stazione a stazione, immediato. Proprio per questo continua a essere insostituibile in mare, in aria, nelle emergenze e in tutti quei contesti dove serve una voce chiara che arrivi lontano senza intermediari. Conoscerne il funzionamento è il primo passo per sfruttarlo al meglio e per rispettarne il ruolo fondamentale nella sicurezza e nella comunicazione quotidiana.