Diciamo anzitutto che Il “miele di palma” non è miele propriamente detto, bensì melassa ottenuta tramite la cottura della linfa della palma. La pratica dell’estrazione della linfa e della successiva lavorazione è discretamente nota su una specie di origine cilena, la Jubaea chilensis, la quale di fatto è altrettanto nota, se non di più, come “palma de la miel”.
Risulta essere invece quasi sconosciuto il fatto che, con analoga tecnica, lo stesso miele si ottenga da una palma che oltre ad essere perfettamente acclimatata in Italia da diversi secoli è originaria delle isole Canarie, decisamente più vicine del Cile: la Phoenix canariensis.
Risulta essere lecito pensare che i primi ad importare la palma nell’Europa continentale fossero ben al corrente del miel de palma, di antica tradizione Guancha, e verrebbe quindi da chiedersi come di ciò si sia persa memoria. Questo se non fosse immediato considerare un dato di fatto, e cioè che la nostra cultura si limita a riguardare le palme come semplici piante ornamentali.
Al contrario, per le popolazioni native dei luoghi d’origine, le palme costituiscono da sempre preziosissima fonte di sostentamento e l’assenza di usi conosciuti della P. canariensis. avrebbe dovuto quantomeno insospettire. Soprattutto quelli alimentari, giacchè tutte le palme hanno un cuore ricco di amidi e una linfa zuccherina in quantità proporzionali al diametro dello stipite, e quello della palma delle Canarie è di dimensioni notevoli.
Attualmente il guarapo, questo il nome locale della linfa fresca, viene estratta quasi esclusivamente a La Gomera, ove si contano non meno di 100.000 esemplari di P.canariensis nelle spettacolari oasi che popolano i calanchi (barrancos) dell’isola. Un tempo le palme erano diffuse in tutto l’arcipelago ma oggi rimangono solo alcune popolazioni relitte, in zone al riparo dall’urbanizzazione, nelle isole di Tenerife, La Palma e Gran Canaria.
A sera, tra Novembre e Giugno, periodo di media vegetazione per le piante, i guaraperos si arrampicano sulle palme e con falcetti e roncole si fanno largo tra la fitta selva di aculei costituita dalle dure pinnule basali, tagliando le foglie centrali della corona fino a raggiungere l’apice vegetativo che viene reciso. Comincia quindi a sgorgare la linfa zuccherina che continua a scorrere per tutta la notte raccogliendosi in secchi opportunamente sistemati. Il mattino seguente i primi raggi di sole cauterizzano il taglio ed il flusso si arresta.
Gli uomini procedono a svuotare i secchi nei quali si saranno raccolti circa 10 litri di linfa e aspettano la sera per risalire in cima alla palma e riaprire la ferita con un apposito attrezzo a scalpello. L’operazione si ripete così quotidianamente per 2-6 mesi al termine dei quali alla palma, che non viene “immolata” come nel caso della J .chilensis, viene concesso un periodo di riposo di 5-10 anni.
Il miele di palma viene infine ottenuto cuocendo la linfa raccolta a fuoco lento per alcune ore, finché questa assume la densità ed il colorito bruno del caramello, con una resa di 1 litro ogni 10 di guarapo. Il suo sapore, simile a quello del mosto cotto nostrano, è piuttosto aromatico e viene consumato in vari modi: come accompagnamento di macedonie di frutta fresca, della “Leche asada” (dolce tipico delle canarie), nella preparazione del gofio (altra specialità isolana), assieme a formaggi freschi o stagionati come dessert, oppure semplicemente come bibita rinfrescante aggiungendo acqua, ghiaccio e succo di limone.
Unico problema, a questo punto, il fatto che il miel de palma risulta praticamente irreperibile al di fuori dei negozi delle Canarie. In ogni caso, qualora vi capitasse l’occasione di poter acquistarne una confezione (vasetti o bottigliette tipo ketchup) non fatevela sfuggire. Non fosse altro perché la vendita contribuisce al mantenimento dei palmeti, riguardati non già come area sottratta all’edilizia ma come risorsa sostenibile.